“Abbiamo portato in tutti i Paesi della comunità le nostre armi segrete: i libri, i corsi culturali, l’assistenza tecnica nel campo dell’agricoltura. In fabbrica si tengono continuamente concerti, mostre, dibattiti. La biblioteca ha decine di migliaia di volumi e riviste da tutto il mondo. Alla Olivetti lavorano intellettuali, scrittori, artisti, alcuni con ruoli di vertice. La cultura qui ha molto valore”.
“La fabbrica non può guardare solo all’indice dei profitti. Deve distribuire ricchezza, cultura, servizi, democrazia”

(Adriano Olivetti)

Essere un CIO … oggi. Pensieri in libertà

“Non si è mai troppo giovani o troppo vecchi per la conoscenza della felicità. A qualsiasi età è bello occuparsi del benessere dell’anima. Chi sostiene che non è ancora giunto il momento di dedicarsi alla conoscenza di essa, o che ormai è troppo tardi, è come se andasse dicendo che non è ancora il momento di essere felice, o che ormai ne è passata l’età”.
(distillato da “Lettera sulla felicità” – Epicuro)

Buongiorno Colleghi ed Amici, questo mio articolo è una riflessione, certamente autocritica e diciamolo, pure dissacrante che potrebbe essere non del tutto condivisa (e che inizia con il solenne ammonimento di Epicuro sulla felicità). Ma è un contributo a tempo perso … all’alba avanzata … del mio tramonto … (metafora del tempo ormai fuggitomi) che può essere buttata oppure tenuta in un cantuccio del nostro essere.

Provocazioni:

  1. Il nostro mestiere sta clamorosamente cambiando. Sono adeguato al cambiamento? Ne sono capaci senza perdere comunque le prerogative di colui che assicura il “servizio in continuità” e la “qualità del dato”? Quando dico “ne sono capace” intendo “… Ho le conoscenze e gli skill che si necessitano in questo nuovo mondo? … E ce li ha anche il business dell’Azienda in cui lavoro? … E se sì, questi sono per caso (per fortuna o meno) “superiori” ai miei? … E se no, sono in grado di affrontare le nuove sfide nel modo giusto? …”
  2. Oppure è meglio un bagno di sano realismo e continuare a fare le cose in cui eccello lasciando le traiettorie innovative a chi ne ha la forza?
  3. Non è che per caso (o per fortuna) debba essere adottata dal CIO una mia metafora? Quella del “ferro da stiro e del tappo di sughero”, ovvero: “anche il ferro da stiro può galleggiare, basta posarlo in una “scatola” che sposti un volume d’acqua il cui peso sia maggiore o uguale a quello della parte solida immersa (le navi galleggiano!). Difficilissimo esseri sugheri che galleggiano su qualunque argomento. E soprattutto difficile cavalcare da leader e guida qualunque argomento”
  4. Non è forse meglio farsi forti di quel che si è e si conosce (il ferro da stiro) ed adottare pratiche di collaborazione, comunicazione e contribuzione a chi invece vede un modo esterno nuovo (la scatola che galleggia) e con questi contribuire alla costruzione della prua e del motore (della scatola) assicurando all’Azienda servizio (in continuità), centralità e qualità del dato, integrazione applicativa sulla base di una “comune tecnologia” che si sposi con i costi ed eviti le duplicazioni. Questi sono mestieri che sappiamo (dovremmo) saper fare.

Provo a spiegare la “mia” frustrazione.

Il nostro mondo dell’Information Technology è ormai ogni giorno sottoposto a stress innovativi sempre più spinti che rendono il nostro cibo condito di stress e le nostre soluzioni (i nostri piatti) già “vecchie” quando nascono e quando va bene, soggette ad un ciclo-vitale sempre più breve. Peggio, a volte (e nel mio caso è avvenuto anche sovente) si devono affrontare nuove sfide senza la necessaria competenza (come si fa ad essere onniscienti?). Di certo il nostro linguaggio non aiuta: noi non riusciamo a farci capire dai nostri interlocutori (anche, ma non solo, i nostri stakeholders). Peggio, e vi confesso il personale fastidio (nel senso di frustrazione da impotenza ed ignoranza, o forse solo insicurezza) quando “non comprendo” nemmeno io cosa stia dicendo un Collega; mi chiedo per esempio se quel discorso, tramutato in un requisito o specifica funzionale sia in grado di produrre qualcosa, in quanto (in)comprensibile. E se io ho difficoltà a comprendere (il nostro linguaggio), cosa riceverà  un CEO o un Top Manager Marketing, Vendite, Comunicazione? Oppure cosa sarà in grado di riportare un giornalista non necessariamente specializzato (e se specializzato chissà).

Gli Opinion Makers (così io chiamo in modo provocatorio ma rispettoso, benché divertito, i grandi player della ricerca e dell’osservazione nel e del mercato dell’Information Technology), coniano i vari acronimi che identificano i ruoli del mondo “innovato/innovabile). Eccone alcuni:

CFO (Chief Financial Officer)
CMO (Chief Marketing Officer)
CDO (Chief Data Officer)
CDO (Chief Digital Officer)
CSO or CISO (Chief Security Officer or Chief Information Security Officer)
CDS (Chief Data Scientist)
CSD (Chief Strategic Development)
CKO (Chief Knowledge Officer)
CCO (Chief Compliance Officer)
CVO (Chief Visionary Officer)
CPIO (Chief Process & Innovation Officer)

Ed ovviamente anche:

CIO (Chief Information Officer)
CTO (Chief Technology Officer)

Ed i CEO spesso, seguono queste indicazioni anche perché le esigenze delle loro Aziende richiedono una specifica verticalità e specializzazione su certi argomenti. E spesso questi argomenti non sono “solo” tecnologici (spesso non lo sono), ma sono invece di Business (quasi sempre lo sono, a meno forse del CTO) e presuppongo aspetti “organizzativi” anch’essi evoluti con nuovi processi di business prima inesistenti o parziali.
Ed allora, i CEO, si chiedono cosa siano ed a cosa servano il CIO ed il CTO, e se li tengono (o si chiedono se tenerseli) fors’anche “obtorto collo”…. Ma intanto nominano anche alcuni degli altri ruoli.

A questo punto (in modo egocentrico) per il CIO il dilemma diventa se essere “il capo” di tutti gli altri (a meno del CFO ovviamente, che spesso lo diventa lui del CIO!). La domanda è: se ne può ragionevolmente avere la capacità e le spalle? Capacità e spalle che presuppongono competenze (tuttologia visto lo spettro del cambiamento a 360 gradi). Capacità e spalle che non siano misurabili solo nella smisurata ego ed ambizione: servono e serviranno poi i risultati; nel mondo che cambia velocemente; con cicli di vita sempre più brevi; ecc. ecc. …. Ed allora torniamo alle provocazioni iniziali ed alla metafora.

Il “cloud” oggi spariglia il modo di trasformare l’IT. Spariglia anche il Data Center, notoriamente una delle (se non “la”) ragione dell’esistenza di un CIO e fermandosi al solo IaaS (senza andare su SaaS e PaaS) permette potenzialità “out-of-company and cost per use” anche per chi abbia a che fare con soluzioni applicative custom e proprietarie. Il cloud sta cambiando il nostro essere. E si può essere più o meno convinti di quelle architetture, soluzioni e servizi, ma al mondo non importa la mia convinzione: è così, e con il cloud (che ci ha rimosso oppure modificato se non addirittura tolto la funzione) dobbiamo farci i conti.

E cosa dirci dello smart working! Una chimera che agita i sonni di chi è in grado (?) di applicare la gestione solo “by-presence” e non “by-result”. E’ una difficoltà di tutti i manager, non solo del CIO che in questa difficoltà non è solo e gli va giusto bene che anche alle Risorse Umane sono in difficoltà, per ora. Ma lo smart working arriverà e ci si sta lavorando su vari tavoli, dalle Università alle Organizzazioni, a volte specifiche ed anche interne alle Aziende “illuminate” e prima o poi da chimera diventerà realtà ed i CIO (e non solo loro) avranno i loro bei problemi a gestire l’evoluzione, il servizio, le operatività, la reperibilità,… in definitiva gli SLA ed i piani.

E gli Opinion Leader (o come li chiamo io: Opinion Maker) spingono inevitabilmente verso modelli differenti che vedono nell’innovazione del mondo digitale il motore dell’evoluzione (anche il Governo battezza i Digital Champions, questo per dire quanto alle necessità si risponda anche con le retoriche di immagine se queste le immaginiamo nello scenario della politica del nostro Paese).

E poi la nostra (scusate, mia) gestione del tempo! L’essere sempre affaccendato. Mai libero e disponibile. Sempre sotto stress e vincoli. Il confondere la vita con la professione. La connessione h24x7. Mail durante la notte (abbiamo bisogno forse di “far vedere” al nostro boss che ci siamo sempre). Interessanti a questo proposito:

  • Questo articolo http://www.informazionesenzafiltro.it/buon-manager-pausa/
  • Una buona e sana lettura di “L’utilità dell’Inutile” di Nuccio Ordine che dice: “… Un po’ d’aria salubre per tutti noi troppo tech. e troppo innovation driven: “…Non è vero – neanche in tempi di crisi – che è utile solo ciò che produce profitto. Esistono saperi ritenuti “inutili” che invece si rivelano di una straordinaria utilità. Attraverso le riflessioni di grandi filosofi e scrittori, N.Ordine mostra come l’ossessione del possesso e il culto dell’utilità finiscono per inaridire lo spirito, mettendo in pericolo non solo le scuole e le università, l’arte e la creatività, ma anche alcuni valori fondamentali come la dignità, l’amore e la verità…”
    (bellissimo questo video: http://www.youtube.com/watch?v=uXClvk3oSQ0&sns=em)
  • Il ritorno al solenne ammonimento di Epicuro:
    http://www.percorsiinteriori.it/filosofia/Lettera_felicita.htm

Noi CIO (e CTO) siamo dei professionisti del settore; è indubbio. E ci diciamo da anni nei vari congressi e tavole rotonde cui partecipiamo che il nostro ruolo e l’organizzazione che guidiamo, non può meramente essere considerato come un “costo” (come certamente era una volta). Ma è proprio vero che era tale solo nel passato (remoto) ed adesso non più? Ed è soprattutto vero (nel senso che succede) quello che ci diciamo (tra noi) che il nostro ruolo si è evoluto verso il business al punto da superare addirittura il livello di “business enabler” e di essere diventati invece “ business together se non addirittura maker”: un motore di sviluppo del business? E ci diciamo anche che ormai la domanda (il demand o business need) è spesso (a volte) da noi stessi suggerito al business. Sono vere queste affermazioni (e sicuramente anche nostre aspirazioni) in qualunque settore industriale noi si lavori? E sui settori innovativi (digital disruption), non è che tornano in auge gli acronimi dei ruoli citati precedentemente e quindi di nuovo il “mio” dilemma, chi sono?

Sarebbe interessante (e curioso) essere noi CIO delle mosche e partecipare ad analoghe tavole rotonde partecipate dai CEO con il titolo “il ruolo del CIO nelle nostre organizzazioni”. Temo depressioni suicida e crisi di identità nell’ascoltare quelle posizioni (qualcuna p.e. l’ho ascoltata personalmente ed ero al MIP di Milano e la battuta riguardava l’età degli astanti CIO (vi lascio supporre quale) i rapporto alla “corsa del mondo verso l’innovazione”, e la percentuale davvero minimale delle donne presenti rispetto agli uomini)

Personalmente non rinnego nulla di cosa ho fatto e di come l’ho fatto ben conscio che lo potevo fare differentemente e certamente anche meglio (anche nella cura delle relazioni, ebbene sì, anche in quella). Ma sono ormai abbastanza disincantato dall’osservare che:

  • A questi meeting la nostra età media che partecipa è over ’55 a dirla bene
  • Tra questi, una discreta porzione è diventata gioco-forza “free-lance” (io stesso) e quelli ancora a ruolo stanno sul chi-va-là e probabilmente impegnati nell’erogazione del servizio (gli “operational services”) che è il ruolo ancora certamente dei CIO e CTO; e si “interessano” di innovazione ma soprattutto perché occorre dire che ci siamo! Altrimenti siamo a rischio (e nel nostro Paese, rimanere oggi senza lavoro dopo i 50 anni, è un fatto irrecuperabile).
  • Tra coloro invece che stanno nell’età della motivazione e in (presunta) rampa (up to 40) si usa discutere di innovazione (non solo tecnologica ma di business anche), Big-Data, Analytics, Digital, Social of every thing, Cloud, Mobility, Engagement, Survey, Marketing (mktg, social,1-2-1, pervasive,…), ecc.
  • E tra gli “over-‘55” ci si allinea entusiasti (evirandosi!)

Ma i CEO cosa pensano?

Io credo che con una buona dose di realismo dovremmo macroscopicamente considerare il mondo diviso in due: (1) il mondo dell’erogazione in continuità del servizio (gli operational services) ed (2) il mondo dell’innovazione del business.
Mentre nel primo mondo siamo necessariamente bersagliati dalla richiesta di efficienza e quindi dalla massima attenzione sui costi, mai sufficientemente “gratis”, (lo farei anche io se fossi un CEO, è inevitabile)  e non sempre anche dall’efficacia (la giusta soluzione/infrastruttura che abilita quel/quei processi di business),
nel secondo mondo gli argomenti di cui alle terminologie dell’innovazione (vedi sopra il terzo bullet) allocano budget che spesso non sono ormai più a casa del CIO, ma del business (per esempio del CMO oppure del Revenue Manager o del Sales Representatives, oppure dello Strategic Development, ecc.) e quando va bene, si creano strutture IT-like (ne conosco assai) accanto a quelle organizzazioni per indirizzare p.e. il Digital World piuttosto che gli Analytics con i Chief Data Scientist e che si staccano nettamente dal CIO. Con buona pace della nostra motivazione? Non necessariamente:  io dico che l’essere realisti paga più di qualunque rincorsa verso la (dis)illusione.

Forse è infatti tempo di riconsiderare le tanto vituperate Operation e gli Operational Services come il nostro “cuore” e la nostra “missione” necessaria (e magari non sufficiente). E’ onorevole in quanto fornitrice del backbone su cui “gira” il business e con esso l’innovazione. Ed è innovabile di per se stessa nonché efficientabile all’infinito (basterebbe porsi nella posizione di studiare e disegnare i modelli operativi secondo schemi diversi dal “si fa così perché così si è sempre fatto” oppure “non si può fare e quindi si deve continuare come si è” ed applicare “metodologie di zero-based-budgeting” (per cambiare, occorre necessariamente fare le cose in modo diverso).

I più fortunati, ma anche i davvero competenti (che abbiano la giusta immagine, anche modesta e mai yuppi), quelli davvero “bravi” (anche se personalmente considero bravi anche i CIO che non stanno gestendo l’innovazione), potranno cimentarsi sull’edge, per il bene del Paese. Ma quello che conterà sempre di più sarà il sapersi adattare ai nuovi mondi piuttosto che cercare di governarli: ci sarà sempre qualcuno (interno o esterno) capace di superarci a sinistra in curva e di farci raccontare quanto obsoleti si sia diventati. Non possiamo accreditarci come onniscienti e men che mai onnipotenti in grado di bloccare l’Azienda con click (o un cacciavite). Meglio far capire (facendo, operando, eseguendo) che sappiamo gestire con efficienza (ed efficacia) quanto ci viene assegnato (o ci ritagliamo).

Anche se “cavalcare” è più interessante e motivante che “galleggiare”, una sana consapevolezza ed adattabilità (anche tattica) aiuta.

Beppe — former VP&CIO …
… vi saluta con il più grande Imprenditore che l’Italia abbia avuto:

“Abbiamo portato in tutti i Paesi della comunità le nostre armi segrete: i libri, i corsi culturali, l’assistenza tecnica nel campo dell’agricoltura. In fabbrica si tengono continuamente concerti, mostre, dibattiti. La biblioteca ha decine di migliaia di volumi e riviste da tutto il mondo. Alla Olivetti lavorano intellettuali, scrittori, artisti, alcuni con ruoli di vertice. La cultura qui ha molto valore”.
“La fabbrica non può guardare solo all’indice dei profitti. Deve distribuire ricchezza, cultura, servizi, democrazia”
(Adriano Olivetti)

“Il termine utopia è la maniera più comoda per liquidare quello che non si ha voglia, capacità, o coraggio di fare. Un sogno sembra un sogno fino a quando non si comincia da qualche parte, solo allora diventa un proposito, cioè qualcosa di infinitamente più grande”
(Adriano Olivetti)